Parliamo del presepe 

Il presepe

La realizzazione del presepe segue sostanzialmente la cura della scene e degli ambienti che lo compongono, traendo ispirazione dal "presepe napoletano". Il tipico "presepe napoletano" altro non è che una rappresentazione della nascita di Gesù ambientata nella Napoli del settecento. I volti, le attività e i costumi sono quelli di un'epoca caratterizzata, per la maggior parte, da un grande affollamento di persone, in una capitale – Napoli - che stava rinascendo e che cominciava a raggruppare dentro di sé etnie diverse: questo è uno dei motivi per cui la rappresentazione del presepe napoletano riporta tante scene affollate, che però sono tanti piccoli microcosmi di vita quotidiana. I materiali utilizzati per la realizzazione sono: sughero pressato in fogli, sughero in tavolette di vari spessori, sughero corteccia, fogli di legno multistrato, listelli per i vari rinforzi, polvere di sughero, colla vinilica e colla a caldo. La prima fase è dedicata alla progettazione della struttura e di tutte le parti che la compongono. Dopo la fase progettuale (importante per capire cosa si vuole realizzare) si passa alla fase di realizzazione: si parte dalla costruzione degli ambienti e dal loro posizionamento sulla struttura, per poi proseguire nella realizzazione di altri dettagli strutturali, quali pavimentazioni, intonaci, inserimento delle luci, stuccatura, pitturazione, e in ultima fase al posizionamento delle statuine. La struttura diventa di compendio alle statuine che, nel loro insieme, sono la vera essenza del presepe di ispirazione napoletana. Le statuine, scelte con accuratezza dei dettagli e ben posizionate all'interno dell'ambientazione ideata, creano l'atmosfera scenografica che riporta indietro nel tempo. Infatti solo una scena ben congegnata ed assortita, ricostruzione di un momento di aggregazione (vedi i personaggi intorno al tavolo dell'osteria che dialogano tra di loro), riesce a rapire l'attenzione dell'osservatore, creando fascino e riflessione.


Presepe modello base

Il presepe è indicativo di un viaggio misterico, un cammino nel mondo sotterraneo dove, superate le angosce del buio, sarà possibile partecipare all'epifania della nuova luce che determina il capovolgimento della morte e il ritorno del ciclo vitale.

Il modello base è un paesaggio notturno con tante strade in discesa che conducono al piano più basso dove al centro è collocata la grotta della natività affiancata da altre grotte: in una si trova l'osteria e nell'altra un percorso sotterraneo dal quale arriva il carro di Cicci Bacco o il corteo dei Re Magi. Tuttavia, pur nel rispetto dei canoni tradizionali del modello base, la tradizione offriva largo spazio alla creatività con personali fantasiose varianti. Altri elementi che lo caratterizzano sono il castello e la capanna di Benino (il pastore dormiente) collocati sui punti più alti.

Il pozzo, che è situato generalmente presso la lavandaia, rappresenta uno degli elementi più ricorrenti nella tradizione, inteso come collegamento tra la superficie e le acque sotterranee.

La fontana, luogo di apparizioni e di incontri amorosi è a metà strada (la donna che attinge l'acqua alla fontana è attinente alla figura della madonna che secondo varie tradizioni avrebbe ricevuto l'Annunciazione mentre svolgeva quell'azione).

Il ponte, che secondo alcune interpretazioni è il simbolo di passaggio e collegamento del mondo dei vivi e dei defunti. Il mulino, con un significato simbolico molto ampio, vede le ruote e le pale che girano come raffigurazione del tempo e il grano macinato che produce farina bianca (antica simbologia di morte) come raffigurazione del pane, alimento di nutrimento per tutti, che assume quindi valenza positiva.

Il fiume, che rappresenta la sacralità delle acque, segno mitologico legato alla morte (i fiumi degli inferi sui quali venivano traghettate le anime) e alla vita (l'acqua che avvolge il bambino nel grembo materno), viene rappresentato con cascate che precipitano da feritoie nella roccia.

La Taverna o Osteria, in una leggenda napoletana si narra di un oste malvagio che nei giorni precedenti il Natale ammazzò tre bambini, li tagliò a pezzi e li mise in salamoia in una botte con l'intento di servire le carni agli avventori spacciandoli per filetti di tonno, ma giunse all'osteria San Nicola che rifiutò di mangiare, benedisse quei miseri resti e resuscitò i tre bambini; un'altra interpretazione allude al viaggio di Giuseppe e Maria in cerca di alloggio, ma l'osteria congiunta alla grotta della nascita esprime il rischio che corre il Bambino Divino appena nato di essere ucciso o divorato; in ogni modo essa è anche metafora del grande banchetto dove il tempo passa e si distrugge.

Il castello si associa a personaggi spaventosi, la rappresentazione si rifà ad Erode e alla strage degli innocenti, di fatti presso il castello vengono poste statue di soldati di epoca romana, che con una mano impugnando una spada e con l'altra mano stringono il piede di un bambino a testa in giù, e sulla torre è posta una statua che rappresenta Erode.

La grotta, simbolo del Natale, è il luogo che esprime la nascita divina, un ambiente illuminato da astri splendenti che appaiono per rischiarare le tenebre; per eccellenza è il limite tra buio e luce.


Presepi Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro brani c'è già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di praesepium ovvero recinto chiuso, mangiatoia. Si narra infatti della umile nascita di Gesù come riporta Luca "in una mangiatoia perché non c'era per essi posto nell'albergo" (Ev., 2,7) dell'annunzio dato ai pastori, dei magi venuti da oriente seguendo la stella per adorare il Bambino che i prodigi del cielo annunciano già re. Questo avvenimento così famigliare e umano se da un lato colpisce la fantasia dei paleocristiani rendendo loro meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo, dall'altro li sollecita a rimarcare gli aspetti trascendenti quali la divinità dell'infante e la verginità di Maria. Così si spiegano le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma che ci mostrano una Natività e l'adorazione dei Magi, ai quali il vangelo apocrifo armeno assegna i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ma soprattutto si caricano di significati allegorici i personaggi dei quali si va arricchendo l'originale iconografia: il bue e l'asino, aggiunti da Origene, interprete delle profezie di Abacuc e Isaia, divengono simboli del popolo ebreo e dei pagani; i Magi il cui numero di tre, fissato da S. Leone Magno, ne permette una duplice interpretazione, quali rappresentanti delle tre età dell'uomo: gioventù, maturità e vecchiaia e delle tre razze in cui si divide l'umanità, la semita, la giapetica e la camita secondo il racconto biblico; gli angeli, esempi di creature superiori; i pastori come l'umanità da redimere e infine Maria e Giuseppe rappresentati a partire dal XIII secolo, in atteggiamento di adorazione proprio per sottolineare la regalità del nascituro. Anche i doni dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla sua regalità: l'incenso, per la sua Divinità, la mirra, per il suo essere uomo, l'oro perché dono riservato ai re. A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell'arte religiosa e in questa produzione spiccano per valore artistico: la natività e l'adorazione dei magi del dittico a cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo che si ammira nel Duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di S. Maria a Venezia e delle Basiliche di S. Maria Maggiore e S. Maria in Trastevere a Roma. In queste opere dove si fa evidente l'influsso orientale, l'ambiente descritto è la grotta, che in quei tempi si utilizzava per il ricovero degli animali, con gli angeli annuncianti mentre Maria e Giuseppe sono raffigurati in atteggiamento ieratico simili a divinità o, in antitesi, come soggetti secondari quasi estranei all'evento rappresentato. Dal secolo XIV la Natività è affidata all'estro figurativo degli artisti più famosi che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell'intera Europa, valgano per tutti i nomi di Giotto, Filippo Lippi, Piero della Francesca, il Perugino, Dürer, Rembrandt, Poussin, Zurbaran, Murillo, Correggio, Rubens e tanti altri. Il presepio come lo vediamo rappresentare ancor oggi nasce secondo la tradizione dal desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme coinvolgendo il popolo nella rievocazione che ebbe luogo a Greccio la notte di Natale del 1223, episodio rappresentato poi magistralmente da Giotto nell'affresco della Basilica Superiore di Assisi. Primo esempio di presepe inanimato è invece quello che Arnolfo di Carnbio scolpirà nel legno nel 1280 e del quale oggi si conservano le statue residue nella cripta della Cappella Sistina di S. Maria Maggiore in Roma. Da allora e fino alla metà del 1400 gli artisti producono statue di legno o terracotta che sistemano davanti a una pittura riproducente un paesaggio come sfondo alla scena della Natività, il tutto collocato all'interno delle chiese. Culla di tale attività artistica fu la Toscana ma ben presto il presepe si diffuse nel regno di Napoli ad opera di Carlo III di Borbone e nel resto degli Stati italiani. Nel '600 e '700 gli artisti napoletani danno alla sacra rappresentazione un'impronta naturalistica inserendo la Natività nel paesaggio campano ricostruito in scorci di vita che vedono personaggi della nobillà, della borghesia e del popolo còlti nelle loro occupazioni giornaliere o nei momenti di svago, nelle taverne a banchettare o impegnati in balli e serenate. Ulteriore novità è la trasformazione delle statue in manichini di legno con arti in fil di ferro, per dare movimento, abbigliati con vesti di stoffe più o meno ricche, adornati con monili e muniti degli strumenti di lavoro tipici dei mestieri dell'epoca e tutti riprodotti con esattezza anche nei minimi particolari. A tali fastose composizioni davano il loro contributo artigiani vari e lavoranti delle stesse corti regie o la nobiltà, come attestano gli splendidi abiti ricamati che indossano i Re Magi o altri personaggi di spicco, spesso tessuti negli opifici reali di S. Lencio. In questo periodo si distinguono anche gli artisti di Genova e quelli siciliani che, fatta eccezione per i siracusani che usano la cera, si ispirano sia per i materiali che per il realismo scenico, alla tradizione napoletana. Sempre nel '700 si diffonde il presepio meccanico o di movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588 per Cristiano I di Sassonia. La diffusione a livello popolare si realizza pienamente nel secolo scorso quando ogni famiglia in occasione del Natale costruisce un presepe riproducendo la Natività secondo i canoni tradizionali con materiali - statuine in gesso o terracotta, carta pesta e altro - forniti da un fiorente artigianato. A Roma le famiglie importanti per censo e ricchezza gareggiavano tra loro nel costruire i presepi più imponenti, ambientati nella stessa città o nella campagna romana, che permettevano di visitare ai concittadini e ai turisti. Famosi quello della famiglia Forti posti sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in via De' Genovesi riproducente Greccio e la caverna usata da S. Francesco o quello di Padre Bonelli nel Portico della Chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme. Oggi dopo l'affievolirsi della tradizione causata anche dall'introduzione dell'albero di Natale, il presepe è tornato a fiorire grazie all'impegno di religiosi e privati che con associazioni come quella degli amici del presepe, Musei tipo il Brembo di Dalmine vicino Bergamo, Mostre, tipica quella dei 100 Presepi nelle Sale del Bramante di Roma, una tra le prime in Italia, rappresentazioni dal vivo come quelle di Rivisondoli in Abruzzo o Revine nel Veneto e soprattutto gli artigiani napoletani e siciliani in special modo, eredi delle scuole presepiali del passato, hanno ricondotto nelle case e nelle piazze d'Italia la Natività e tutti i personaggi della simbologia cristiana.


I pastori

I pastori sono gli animatori del presepe, essi presentano una complessa simbologia, soprattutto perché nelle varie tradizioni popolari si riscontrano simboli appartenenti ad epoche diverse ed entrate a far parte dei codici dell'immaginario.

I Re Magi sono posti sui tre rispettivi cavalli di colore bianco, rosso (o baio) e nero, che nelle favole campane simboleggiano l'iter del sole: bianco dell'aurora, rosso o baio per il mezzogiorno e nero per la sera e la notte. In effetti essi rappresentano il viaggio notturno dell'astro (stella cometa) che si congiunge con la nascita del nuovo sole (bambino Gesù).

La lavandaia, come testimone del parto di Maria, si riconduce alla figura della levatrice, che, dopo aver lavato il Bambino, stende ad asciugare i panni del parto il cui candore è confronto suggestivo con la verginità di Maria.

La zingara con il bambino in braccio può essere accostata alla fuga in Egitto di Maria, che era ella stessa zingara in un paese straniero. Si narra di una donna vergine chiamata Stefania che, quando nacque Gesù, si incamminò verso la grotta per adorarlo, ma fu bloccata dagli angeli che impedivano alle donne non sposate di visitare la Madonna che aveva da poco partorito; il giorno dopo raccolse una pietra, l'avvolse in un panno e, fingendosi madre, ingannò gli angeli, riuscendo ad entrare nella grotta, ma quando fu alla presenza di Maria si compì il miracolo prodigio: la pietra starnutì e divenne un bambino (Santo Stefano che si festeggia il 26 dicembre). La zingara senza bambino in braccio preannuncia la passione di Cristo, i ferri che porta nelle mani simboleggiano i chiodi del martirio del Signore.

Il pescatore, che svolge la più antica attività dell'uomo per assicurarsi la sussistenza, vede il suo vestito bianco e rosso accostarsi alla liturgia popolare (costume dei fujenti di Madonna Dell'Arco).

Il cacciatore, che di solito imbraccia il fucile, è sempre stato un elemento di contraddittorio anacronistico. Le figure del pescatore e del cacciatore hanno, (nelle raffigurazioni presepiali, una posizione che può dirsi canonica), vale a dire che il cacciatore si pone in alto e il pescatore in basso nelle acque fluviali. Non si dimentichi che già in tutte le tombe Egizie, Etrusche ed Italiche sono ricorrenti le raffigurazioni della caccia e della pesca.

Il venditore di ricotta prende particolare significato come fine e inizio del nuovo anno, che, come avviene per il processo di caseificazione, ha bisogno di crescere ed aumentare di volume: l'emblema del tempo che ritorna mediante la fermentazione e l'augurio che il nuovo anno sia ricco di prodotti alimentari.

Gli angeli che fanno corona alla grotta: quello centrale è detto "la Gloria del Padre" perché reca la pergamena con la scritta "Gloria in Excelsis Deo", quello sulla destra con l'incensiere tra le mani viene detto "la Gloria del Figlio"; infine l'angelo detto "la Gloria dello Spirito Santo" è raffigurato in atto di suonare una tromba e simboleggia il soffio divino della terza persona della Santissima Trinità. Ai tre angeli si possono aggiungere altri due, uno con i piatti metallici che esprime l'Osanna del Re o del Papa e l'altro con il tamburo che canta l'Osanna del popolo.

Benino, il pastorello posto in cima al presepe raffigurato nell'atto di dormire, è una figura che simboleggia il magico cammino verso la grotta, percorso in discesa attraverso il sogno.

Il pastore della meraviglia che, accecato dalla rivelazione, è posseduto dionisiacamente dalla luce e non trova parole per esprimerla.

Il carabiniere, tradizionalmente alcuni figuranti usano modellare due carabinieri o due sentinelle, metafore di angeli carcerari che hanno in consegna anime del purgatorio raffigurate come prigionieri.

Altre figure del presepe sono: Cicci Bacco, uomo che ricorda Bacco (il dio del vino) e che troviamo seduto in modo trionfante sulle botti di un carro, è proceduto o seguito da uomini vestiti di pelli che con zampogne, tamburi e pifferi suonano ritmi orgiastici dionisiaci; il vecchio che da il becchime alle galline è rappresentativo di Demetra (la dea del grano); le donne che filano, tessono o lavorano la lana, alludono alle Parche (assimilate alle Moire, le divinità che presiedono al destino dell'uomo: la prima filava il tessuto della vita; la seconda dispensava i destini, assegnandone uno ad ogni individuo stabilendone anche la durata; e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito); il cacciatore rimanda ad Apollo con l'arco (fratello gemello di Artemide, per i romani Diana, dea della caccia); i due vecchi (uomo e donna), seduti vicino ad un braciere, rimandano a Saturno e a Rea (Saturno era la divinità romana dell'agricoltura e Rea era sua moglie); il pecoraio, che guida il gregge in cammino simboleggia il Dio Ermes o Mercurio, come conduttore di anime (è il dio dei confini e dei viaggiatori, dei pastori e dei mandriani); la donna che segue i Re Magi è accompagnata da una banda di suonatori neri che chiudevano il corteo.

Pastori recenti: alcuni pastori propongono dei personaggi famosi scomparsi nel corso dell'anno; a Napoli quando morì Eduardo De Filippo, si propose la realizzazione della statuina con la camicia da notte, in riferimento alla nota commedia "Natale in casa Cupiello".

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